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Cronaca

Gianni Di Gennaro, giornalista di Vittoria: “Io, il primo reporter alla strage di San Basilio”

Arrivò nel bar dove furono trucidate cinque persone, prima di polizia e carabinieri. Ieri, il ricordo a Vittoria di quel giorno drammatico. Lui ne parla così...

di Salvatore Cannata -





Gianni Di Gennaro, oggi ha 71 anni. Ne compirà 72 il 14 di giugno. Scrive ancora nel suo sito, ItalReport. Non più su carta stampata né va in tv. Ma 25 anni fa, raccontava Vittoria, negli anni difficili e sanguinosi. Dove i fatti di sangue erano all’ordine del giorno. Efferati, terribili. Uccidere era drammatica quotidianità. Quando le operazioni dicevano di 50, 100 (e anche più) arresti. Criminalità ramificata; terrorizzava e minacciava. Anche lui. Perché Di Gennaro conosceva e quando scriveva su La Sicilia o parlava in tv, sapeva cosa di chi stava dicendo. Ieri, Vittoria ha commemorato le vittime due innocenti di una delle stragi di mafia peggiori della Sicilia: la ‘strage di San Basilio’ del 2 gennaio 1999, quando, al distributore Esso all’ingresso nord della città, un commando di tre killer -mandanti i Piscopo e gli Emmanuello di cosa nostra- uccise cinque persone. Tre gli obiettivi che caddero sotto i colpi di due calibro 9, una 357 Magnum e una Glock: Angelo Mirabella sodale del boss Carmelo Dominante e reggente della ‘stidda’ di Vittoria; Claudio Motta, cognato di Mirabella; Rosario Nobile. Ma quel giorno, nessuno poteva essere risparmiato (solo un miracolo salvò il barista che trovò rifugio dietro il bancone senza che i killer se ne accorgessero). E così caddero sotto una gragnuola di proiettili anche Salvatore Ottone (l’intervista con la sorella nella sezione video) e Rosario Salerno, 28 e 27 anni. Vittime innocenti della mattanza, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quel 2 gennaio, un sabato di 25 anni fa, erano lì a giocarsi la schedina. Non c’entravano niente con la guerra di mafia fra cosa nostra e gli ‘stiddari’, la cosca emergente. Furono trucidati. Ieri, Vittoria li ha ricordati come ogni anno fa, da quel maledetto 2 gennaio ’99. Gianni Di Gennaro, fu il primo ad arrivare là. Ma non il primo dei giornalisti. Il primo in assoluto, prima di polizia e carabinieri. “Vittoria ha due distributori all’ingresso del centro abitato ed entrambi con i bar – spiega – Uno nella zona nord (quello Esso dove avvenne la strage) e l’altro nella zona sud. Quando arrivò l’allarme, le forze dell’ordine si precipitarono in quest’ultimo. Chi mi fece la ‘soffiata’, invece, indicò subito il bar del distributore del signor Lorefice. Ed io arrivai per primo e da solo. 30, 45 secondi dopo, le sirene e le auto di polizia e carabinieri. Volli solo sbirciare dentro e quello che vidi non lo dimenticherò mai: sangue dappertutto, un’infinità di proiettili, corpi per terra sommersi dal sangue. Una mattanza che rivivo ad ogni 2 dicembre come se fosse successa qualche minuto prima e non con i 25 anni adesso passati. Non entrai per non inquinare le prove ma quel che vidi mi bastò”. Sul momento, neppure Di Gennaro si accorse delle vittime innocenti: “Era impossibile riconoscere i corpi per terra. Era pure una giornata piovosa e fredda quel giorno che segnò il culmine della guerra di mafia a Vittoria, nell’episodio più cruento. Fu anche una svolta nel dominio dello spaccio, racket e controllo del territorio. Una tensione tremenda che raccontavo tutti i giorni”. Di Gennaro, quel giorno, scrisse e raccontò dalle 18 alle 2 e mezzo della notte con tutte le tv siciliane ma anche con Canale 5, Rete 4 (chiamato da Emilio Fede), RAI3. Di Gennaro, qualche giorno dopo, fece anche di più: portò di persona due prime firme del giornalismo siciliano e non solo di nera, Tony Zermo e Attilio Bolzoni, ad intervistare colui che ipotizzava fosse (avendone poi assoluta ragione) il mandante, Piscopo appunto. Un pastore con un’azienda sulla Vittoria-Acate -cui non difettavano pure i contributi regionali perché trasformava il latte di pecora-. “Io ero un pubblicista e lavoravo in banca. Però facevo cronaca nera e raccontavo. Sapevo che poteva essere stato lui. Zermo e Bolzoni posero domande ‘larghe’ a Piscopo; gli chiesero cosa ne pensasse di questi pastori come lui, gli ‘stiddari’ (nome che deriva dal fatto che, come pastori, dormivano sotto le stelle -stidde in dialetto-)”. Gianni Di Gennaro racconta così quel giorno: “Piscopo, a fine intervista raccomandò ai due giornalisti di scrivere le cose giuste, ribadendo che lui sapeva niente di quello che era successo. ‘Non si preoccupi’, gli risposero. ‘Non sono io che devo preoccuparmi ma il signor Di Gennaro…“. Bolzoni e Zermo, scrissero le cose giuste e Di Gennaro tirò un sospiro di sollievo. Ma quel 2 gennaio del 1999 e i giorni a seguire, Gianni Di Gennaro non li scorderà più. E oggi, a distanza di 25 anni, racconta e ripensa. Quando fare giornalismo non era facile. E in certi ambienti, in certe città, molto di più. Perché non si rischiava la querela. Si rischiava la vita. E solo per passione