Flotilla, da Portopalo a Gaza: la missione civile che sfida blocchi e sabotaggi
Stavolta sono partiti davvero. Alle 10,41 di questa mattina, dal porto più a sud della Sicilia, è salpata ufficialmente la Global Sumud Flotilla, una flotta di 42 imbarcazioni dirette verso Gaza con l’obiettivo di consegnare aiuti umanitari ai civili palestinesi. “Siamo partiti, stavolta non ci fermiamo più”, ha scandito con fermezza Maria Elena Delia, portavoce dell’iniziativa, sottolineando la portata simbolica e politica di quella che viene già definita la più grande missione civile nel Mediterraneo.
Una partenza attesa e ostacolata
Le imbarcazioni – molte arrivate in Sicilia dalla Tunisia dopo giorni di difficoltà – hanno atteso settimane prima di poter prendere il largo. Prima i rinvii logistici, poi le condizioni meteo, infine i sabotaggi: due barche, ancorate a Sidi Bou Said, sono state colpite da ordigni incendiari, con ogni probabilità lanciati da droni. Nessun ferito, ma il messaggio era chiaro: fermare a ogni costo la missione.
Nonostante ciò, gli equipaggi non hanno ceduto. A Portopalo, durante la sosta forzata, si sono svolti ulteriori controlli tecnici e momenti di formazione. Adesso, la rotta è fissata: il Mediterraneo trasformato in ponte di solidarietà, non più barriera di guerra.
La flotta verso Gaza
Alle barche italiane si uniranno le sei imbarcazioni già salpate dalla Grecia. Tutte convergeranno verso la costa della Striscia in un viaggio che è, al tempo stesso, gesto concreto di sostegno e grido politico internazionale. Un’iniziativa che si intreccia con il dibattito diplomatico sempre più acceso.
Le reazioni politiche
Sul fronte politico, le polemiche non mancano. Angelo Bonelli (Avs) ha denunciato la revoca del visto per l’ingresso in Israele da parte del governo di Tel Aviv, definendola una mossa che ostacola ogni forma di testimonianza internazionale. Dal Movimento 5 Stelle, Francesco Silvestri attacca il governo Meloni accusandolo di “complicità” nella crisi umanitaria a Gaza: “155 milioni l’anno finiscono a Israele attraverso il commercio di armi – ha detto – e intanto assistiamo a massacri e sostituzione etnica”.
Il Mediterraneo come confine conteso
La partenza da Portopalo non è dunque solo cronaca marittima. È la rappresentazione di un confine che brucia, di un mare che diventa terreno di sfida: da un lato, il controllo militare e i blocchi; dall’altro, la scelta di un gruppo di civili di trasformare le proprie barche in carovane di resistenza pacifica.
È il paradosso del nostro tempo: ciò che nasce come gesto umanitario rischia di diventare terreno di scontro politico e militare. Ma per gli equipaggi la rotta è segnata. “Ora siamo pronti” ripetono, e nelle loro parole c’è la volontà di scrivere un’altra geografia: non quella dei muri, ma quella dei ponti.