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Attualità

Festa di Sant’Agata: “Niente balli ma rosario e corona”

di Alessandro Fragalà -





Dal sabato 3 di febbraio, Catania vive una delle feste più popolari più belle, partecipate, sentite, vissute al Mondo: Sant’Agata. Che è molto di più che una festa. E’ tradizione, è anima, è folklore, è coinvolgimento, è passione, è Fede. E’ Catania ed è i Catanesi. Che nascono, crescono, vivono e muoiono pensando a Lei. In una simbiosi che in pochi popoli della Terra si può vedere. Solo vivendo Sant’Agata si può capire cosa Ella significhi. E solo un Catanese può trasmettertene la bellezza e la grandezza. Si avvicina Sant’Agata e Catania si prepara a quello che è il momento più importante e atteso di un intero anno. Ma è anche una Festa che, storicamente, si snoda tra quelle contraddizioni che poi sono la città di Catania. Una città che nei giorni in cui si celebra la Patrona, vuol dare il volto migliore ma non sempre ci riesce. A chi non è Catanese è giusto ricordare come la festa, negli anni, ha forse perso il suo valore religioso per prestarsi a quello profano. Un business per molti, tra orari esageratamente dilatati e situazioni spiacevoli, per un usare un eufemismo. E i giorni che precedono il clou della Festa -ed anche questa è storia- sono quelli delle buone intenzioni, del miglioreremo, del torneremo all’antico. Buoni propositi che, poi, finiscono nel vento. Chissà però se il 2024 potrà essere un anno differente. A sferzare gli animi negli ultimi giorni di gennaio, in questo senso, ci ha pensato la massima carica religiosa della città di Catania, l’Arcivescovo Luigi Renna, che ha deciso di rivolgersi e di mandare un messaggio diretto a chi, di norma, ha nelle mani la parte profana della Festa e delle processioni del 4, 5 e ormai 6 febbraio. “Le candelore sono nate per essere segni di devozione a Sant’Agata. E noi vogliamo recuperare la tradizione più autentica, i cui nemici sono la perdita di fede, l’individualismo, l’esibizione”. Parole che rappresentano il punto centrale dell’omelia dell’arcivescovo Luigi Renna, pronunciate durante la celebrazione eucaristica con le Associazioni e i portatori delle Candelore che si è tenuta nella chiesa di San Nicola l’Arena a Catania. Parole che certamente rappresentano un messaggio forte da parte della Chiesa catanese ed uno spunto di riflessione per tutti i devoti che si apprestano a vivere la Festa 2024. Le 13 candelore, simbolo della festa e della città di Catania, sono da anni tema di ampio dibattito e di difficile gestione per chi, insieme alla curia, organizza le festa. Renna, dunque, ha voluto mandare un messaggio senza girarci troppo intorno. “Una Santa Messa – ha detto l’arcivescovo – per voi e per tutte le persone che volete ricordare, i devoti morti quest’anno. E una occasione per riflettere sulle candelore”. Durante l’omelia l’arcivescovo ha anche sottolineato come le candelore siano il segno di una devozione collettiva. “Sono il segno – ha detto – di una civiltà che ha voluto sconfiggere l’individualismo” e per questo motivo “la candelora non può essere di un privato”. E forse questo è il passaggio di maggiore importanza con cui Renna vuole chiudere la porta a infiltrazioni preoccupanti e a situazioni equivoche che, magari, sono state registrate negli ultimi anni. E infatti l’Arcivescovo ha anche inserito nella sua omelia un’esortazione: “Le candelore devono essere attente a non perdere i loro caratteri di devozione festosa, ma vanno eliminati segni equivoci. La candelora è una luce votiva della santa, non è nata per l’esibizione di qualcuno”. E ancora, in maniera sempre più diretta: “Non è bene che si stampino magliette con il volto delle persone defunte, anche se giovani: per noi cristiani il suffragio per chi è morto si fa con una Messa di suffragio, con la preghiera, con un’opera di carità, con la visita orante ai nostri cimiteri. Davanti a Sant’Agata non si va danzando con i veli: le ragazze che lo fanno si espongono ad essere oggetto di espressioni di una cultura che le vuole oggetto manipolabile. La devozione vuole che si segua la Santa con il sacco e con la corona del Rosario in mano, non certo danzando”. Ed è questo il passaggio più forte. Basta balletti, basta scene ridicole, basta trasformare Sant’Agata in una festa di goliardia. Un messaggio che non ha lasciato indifferenti i catanesi e, in particolare i devoti come ci spiega Fabrizio Lanzafame, devoto ed ex vice presidente del Cereo di Villaggio Sant’Agata: “Ha dato il giusto significato di ciò che deve essere la candelora. Luce, speranza amore. Come un padre insegna a camminare al figlio così l’Arcivescovo ha voluto dire che chi porta la candelora deve imparare a non sbagliare e capire oltre il peso fisico del cereo il peso della responsabilità”.