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Caltanissetta

Femminicidio di Gela,Il procuratore Vella: “Una devastazione violenta”

di Enzo Scarso -





GELA – «Una devastazione violenta». Con queste parole, cariche di dolore e indignazione, il procuratore capo di Gela, Salvatore Vella, ha descritto le condizioni in cui è stato ritrovato il corpo di Veronica Abaza, 64 anni, cittadina rumena uccisa nella sua casa di via Amendola, nel quartiere popolare di San Giacomo.

Un delitto brutale, consumato il 17 settembre scorso, che svela l’ennesimo dramma di una donna rimasta intrappolata in un silenzio di paura.

L’uomo che colpiva “a mani nude”

A ucciderla, secondo la ricostruzione della Procura, sarebbe stato Lucian Stan, 40 anni, connazionale della vittima e bracciante agricolo. È accusato di omicidio volontario aggravato.

Dalle indagini dei Carabinieri del Nucleo Operativo di Gela emerge un quadro agghiacciante: l’uomo la colpiva spesso, e sempre a mani nude. Una relazione segnata dall’alcol, dai litigi e da un crescendo di violenza domestica che aveva trasformato la convivenza in una prigione

Il tentativo di depistare gli inquirenti

In un primo momento, Stan aveva provato a simulare un incidente, raccontando che la donna fosse caduta dalle scale.

Ma le analisi medico-legali hanno subito smontato quella versione. L’autopsia, eseguita dal dottor Cataldo, ha accertato un grave politrauma cranico-encefalico e toraco-addominale, lesioni interne, fratture e segni di compressione compatibili con una prolungata e feroce aggressione.

“Salì a cavalcioni sulla vittima”

«Il corpo mostrava evidenti segni di schiacciamento e compressione – ha spiegato il comandante provinciale dei Carabinieri, Salvatore Menta –. Dalla ricostruzione tecnica risulta che l’aggressore si sarebbe seduto a cavalcioni sulla donna, colpendola con violenza fino a ucciderla».

Le fotografie della scena del crimine e le tracce di sangue ripulite confermano il tentativo di cancellare le prove. Ma a dare l’allarme non fu lui: fu un vicino di casa, allarmato dal silenzio e da rumori sospetti. Quando i sanitari arrivarono, per Veronica era ormai troppo tardi.

Un quartiere ferito e una comunità che reagisce

Il procuratore Vella ha voluto sottolineare il ruolo decisivo della comunità rumena di Gela, che ha collaborato alle indagini rompendo il muro di paura:«In un contesto fragile ma solidale – ha detto – molti hanno trovato il coraggio di parlare, anche di fronte alle minacce dell’assassino». Stan avrebbe tentato di intimidire testimoni e conoscenti, ma le testimonianze e i riscontri scientifici hanno consolidato un quadro “coerente e univoco”.

La ferita di una città e il grido delle donne

Il caso di Veronica Abaza si inserisce in un bilancio drammatico: oltre 150 procedimenti per violenze domestiche e stalking aperti quest’anno solo nel distretto di Gela. «Numeri che parlano da soli – ha detto Vella – e che raccontano di donne che vivono nel silenzio, spesso senza la forza di denunciare. Ma ogni storia come quella di Veronica deve ricordarci che il coraggio di parlare può salvare una vita».Nel quartiere San Giacomo, il dolore si mescola alla rabbia. Tutti sapevano, tutti avevano sentito. La figlia di Veronica, da tempo, le chiedeva di lasciare quell’uomo. Un silenzio durato anni, interrotto solo da urla nella notte. Fino all’ultima, quella che nessuno è riuscito a fermare.