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Cultura

“E la chiamarono Vigata. La Sicilia nel cuore” di Pasquale Hamel

di Redazione -





di Giuseppe Culmone – “E la chiamarono Vigata. La Sicilia nel cuore” di Pasquale Hamel

Una raccolta di racconti che si presentano al lettore come presi da una qualche strana magia che li fa dispiegare da soli per una città che a volte appare cristallizzata nel racconto, ma che in realtà cambia in una fluidità temporale e narrativa dettata dal mago-autore.

Vigata, La Marina, Porto Empedocle, tanti nomi per un’unica cittadina, perno delle trame di vita che continuamente scorrono una per una e si posano sulle pagine delicatamente, senza fretta di mostrarsi al mondo. Una città tramandata, vissuta, pensata e scritta con arguta leggerezza divertita, un luogo simbolo di altri, tanti e vari luoghi di quella “Sicilia nel cuore” che tragicomicamente galleggia immobile nel Mediterraneo.

Vigata è la Sicilia come la Sicilia è Vigata. Soltanto un punto di vista differente può trasformare questa sacra immobilità in dinamicità mutevole dissacrante. Un teatro di vissuti quotidiani, non storielle “historiette” che si concludono in sé con una risata fine a se stessa, ma storie storiche perché situate in un tempo passato reale-realistico quanto immaginario-immaginifico che costituiscono memoria di vita viva.

Il racconto personale diviene di utile e divertente uso per chi sa cogliere l’essenza del libro. L’utile sta nei vari insegnamenti di vita che compaiono ad una lettura attenta, il tutto accompagnato da una cornice di ironia pirandelliana che sovrasta ogni fatto, misfatto e racconto dei vari personaggi descritti.

Un senso di comicità di chi accetta di osservare, descrivere, ammirare con occhio sempre critico l’umanità peccatrice tutta senza biasimarla con tronfi perbenismi moraleggianti. La memoria, leggera foschia tranquilla del mattino nella quale le figure reali diventano ombre immaginarie, le persone personaggi, i racconti, le storie ed il tempo diventa fluido è protagonista di questo libro. 

Una memoria individuale che si spazializza e diventa collettiva quando l’ordinario quotidiano di una città provinciale viene infranto dal diverso, dall’eccentrico, dall’inaspettato, dell’alterità. Sembra non accadere nulla prima del bizzarro, in ogni racconto c’è sempre un’anno 0 del normale che successivamente verrà sconvolto, il resto va da sé come un fiume in piena, per poi fermarsi scemando a fine paragrafo. 

Si ha come l’impressione che il tempo stesso, come la sua narrazione venga portato avanti faticosamente per continue frammentazioni di eccezionalità.Il tempo è il racconto dell’eccezionale e il racconto dell’eccezionale è il tempo.

Attraverso occhi diversi si ha la possibilità di entrare nella vita e nei luoghi “del cuore” dell’autore in una dimensione senza tempo e senza spazio, è la dimensione del ricordo, del personale e del soggettivo che è nel profondo noi ed è sentimentalmente legato alla nostra esperienza di esseri umani essenti. Nel ricordo Porto Empedocle non è semplicemente “un luogo” ma diviene “il luogo”