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Attualità

Confische: oltre il 90% delle aziende va in liquidazione

di Redazione -





di ANGELO VITALE
“Oltre il 90 per cento delle aziende confiscate alla mafia viene messo in in liquidazione”: era già stato ampiamente allarmante e significativo il dato emerso dallo screening svolto dalla Commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana mappando le 9 province e incontrando i comitati ordine e sicurezza e i sindaci dei territori. Un dato che emerge come ulteriormente appesantito nella presentazione della relazione dell’organismo presieduto da Antonello Cracolici.
“La Sicilia è la regione con il più alto numero di beni immobili confiscati, circa il 60 per cento. Così come alto è il numero di imprese tolte ai boss, ma allo stesso tempo – registra Cracolici – nell’sola registriamo un livello di mortalità di queste aziende pari al 98%, un dato inaccettabile”.
Non aiuta, il modello organizzativo dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati. “Non funziona – afferma il presidente della Commissione – . La gran parte del territorio siciliano è gestito dagli uffici che hanno sede in Calabria, mentre Palermo, Trapani e Agrigento fanno riferimento alla sede dell’Agenzia che è a Palermo, con modelli amministrativi che in alcuni casi differiscono l’uno dall’altro. E’ un tema da affrontare, occorre sistematizzare e affrontare i nodi di difficoltà amministrativa”.
Nella mappatura, la Commissione aveva rilevato la necessità di un cambio di passo da parte della Regione, attraverso l’Irfis FinSicilia, la controllata regionale dedicata allo sviluppo dell’isola, garantendo un accesso al credito agevolato per queste aziende.
Sul tema, ha risposto a queste attese il governatore Renato Schifani, garantendo un
confronto con il braccio finanziario della Regione, “per verificare un eventuale misura per l’abbattimento dei tassi d’interesse per le aziende in amministrazione giudiziaria”. “Spesso – ha precisato – l’amministratore giudiziario è iscritto senza volerlo nella blacklist delle banche. E allora è giusto che il governo regionale possa avviare una riflessione su questo tema proprio attraverso l’Irfis”.
Un problema radicato fortemente in Sicilia – nel 2023 per Open Data Aziende Confiscate 3mila le imprese acquisite dallo Stato di cui poco meno un terzo solo nell’isola – che da tempo, alla luce numerosi esempi, ha messo in luce innanzitutto come la mortalità di queste imprese ricada sui lavoratori: frequente e ripetuto il caso di maestranze rimaste per anni creditrici delle aziende confiscate. È quella che anni fa un’inchiesta de I Siciliani Giovani definiva “la solitudine delle imprese”. Perciò, sempre più animato, da anni è emerso il dibattito nazionale sulla opportuna valutazione di una confisca solo per le aziende “inguaribili”, sottoponendo le altre finite nel mirino della magistratura ad un percorso di affiancamento, per “vaccinarle” dal virus delle mafie e mantenerle attive.
Invece, implacabile, il meccanismo che finora ha condotto alla mortalità la quasi totalità delle aziende confiscate. Fin dal sequestro, laddove scattano i sigilli applicata all’azienda, inizia la loro lenta agonia. Con ogni giorno di chiusura che è perso per la loro produttività e per il destino dei lavoratori che in essa sono impegnati.
E’ ciò che sempre l’inchiesta de I Siciliani Giovani individuava, paradossalmente, in una legalità che trascina con sé un elevato costo. Quello insormontabile prodotto da dinamiche finanziarie e di mercato cui si trova di fronte l’impresa confiscata. Una condizione che non vale, invece, per l’economia criminale, abituata a godere di facilitazioni e di impunità che le valgono “risparmi” fino al 30 per cento dei costi rispetto a quella legale.
Numeri e dati impietosi, un sistema da ripensare completamente. Non è la prima volta che la Commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana arriva a questa considerazione. I prossimi mesi ci diranno se a questo rinnovato allarme risponderà un investimento politico concreto. Le coraggiose sperimentazioni di “vaccinazione” delle imprese confiscate non possono più bastare a fare la differenza rispetto al dato così pesante di questa mortalità.