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Attualità

Colpo al clan Nardo: in manette anche l’ex assessore regionale

di Alessandro Fragalà -





C’è anche l’ex assessore regionale e sindaco di Melilli, Pippo Sorbello, tra le 12 persone arrestate dai carabinieri di Siracusa nell’ambito di un’inchiesta contro il clan Nardo, che opera nell’area settentrionale aretusea ed è ritenuta una costa della famiglia catanese di Santapaola -Ercolano.
Per Sorbello, ristretto ai domiciliari, l’accusa per voto di scambio è di aver “accettato la promessa di ottenere voti in cambio di denaro e dell’impegno ad adoperarsi per agevolare la scarcerazione del figlio di un affiliato”. Oggetto dell’indagine sono le ultime elezioni amministrative del comune di Melilli, vinte poi dall’altro candidato sindaco, il deputato regionale del Mpa Giuseppe Carta. I fatti contestati all’ex assessore, dunque, risalgono alla tornata elettorale del giugno 2022: in questa occasione, secondo i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta, Sorbello avrebbe stretto accordi con alcuni esponenti del clan Nardo. Secondo il gip l’ex deputato regionale dell’Udc, in veste di candidato alla poltrona di sindaco del comune di Melilli, si sarebbe impegnato in favore del sodalizio mafioso attraverso l’esborso di somme di denaro che il candidato sindaco avrebbe dato a Giuseppe Montagno Bozzone.
Questo in cambio di un impegno: favorire la scarcerazione anticipata del figlio Antonino, detenuto nella casa circondariale di Caltagirone, mettendo a disposizione i propri avvocati e con l’appoggio di un magistrato che, per il momento non è stato identificato, e che avrebbe potuto aiutarlo. Questo un capitolo dell’operazione denominata Asmundo.
Poi c’è quello che riguarda la vera e propria organizzazione del clan mafioso, retto, secondo gli inquirenti da Vincenzo Formica, Antonello Costanzo Zammataro e Antonino Montagno Bozzone. Sarebbero stati loro gli organizzatori e referenti del clan Nardo a Melilli. A loro è stata contestata l’associazione mafiosa. Come detto sono 12 le persone tratte in arresto, 10 in carcere: Giada Aimone di 32 anni; Salvatore Arrabito di 34 anni; Antonello Costanzo Zammataro di 50 anni; Vincenzo Formica di 42 anni; Alfio Alberto Ira di 57 anni; Andrea Mendola di 29 anni; Giuseppe Nunzio Montagno Bozzone di 58 anni; Antonino Montagno Bozzone di 34 anni; Salvatore Padua di 58 anni; Antonino Puglia di 58 anni; Salvatore Rasizzi di 37 anni; Arturo Tomasello di 42 anni. Agli arresti domiciliari oltre a Giuseppe (Pippo) Sorbello anche Giuseppe Puglia di 29 anni.
Diverse le accuse di cui dovranno rispondere gli indagati. Utilizzando la forza intimidatoria derivante dal legame associativo e dalla condizione di assoggettamento e omertà, il clan sarebbe riuscito a prendere il controllo diretto o indiretto di numerose attività economiche e imprenditoriali, principalmente nel settore agro-pastorale, nell’area settentrionale della provincia siracusana. Tra i capi di imputazione contestati agli indagati oltre al voto di scambio ci sono estorsioni, detenzione di armi e stupefacenti, e introduzione di dispositivi telefonici in carcere.
Il modus operandi del clan includeva minacce provenienti anche dall’interno degli istituti di pena, mediante l’uso illecito di telefoni cellulari, per scoraggiare coloro che avrebbero voluto denunciare estorsioni o minacce subite.
Ma non solo: scoperto un traffico di armi ad alto potenziale offensivo e il commercio di stupefacenti, inclusa la gestione di una piantagione di marijuana composta da 731 piante. Durante l’indagine, i Carabinieri hanno sequestrato due fucili, una pistola e circa 11 kg di marijuana e cocaina.
L’attività investigativa ha permesso di delineare l’organigramma, i ruoli e le mansioni dell’associazione mafiosa del clan “Nardo”.
Inoltre, sono stati ricostruiti vari episodi di estorsione in cui gli affiliati avrebbero costretto imprenditori agricoli e commercianti a pagare somme di denaro o fornire generi alimentari senza ricevere alcun compenso in cambio.
In alcuni casi erano anche costretti a pagare per ricevere un servizio di guardia, ovvero una protezione, per i propri terreni agricoli, sui quali sarebbero stati anche obbligati a tollerare il pascolo di capi di bestiame riconducibili agli associati a subire il cosiddetto “cavallo di ritorno” per la restituzione di escavatori ed altri mezzi oggetto di furto.