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Calenda a Palermo: “Schifani si crede Dio, la Sicilia ostaggio di feudatari e clientele”

di Vincenzo Migliore -





Carlo Calenda non usa giri di parolee ricara la dose dopo il duro attacco dei giorni scrso alla politica siciliana. A Palermo, in conferenza stampa all’Nh Hotel, il leader di Azione è stato ancora una volta un fiume in piena contro il presidente della Regione Renato Schifani e l’intero sistema politico siciliano. “Il commissariamento della Sicilia è necessario – ha detto – perché l’Assemblea regionale non si occupa dei cittadini ma solo di piazzare chi fa comodo per meri interessi politici”.

L’affondo nasce dal recente scontro con Schifani alla festa di Forza Italia, dove Calenda aveva denunciato pubblicamente la gestione delle nomine regionali. “Ad offendere i siciliani non sono io – ha ribadito – ma chi prende un ragazzo senza esperienza (Luigi Genovese, ndr) e lo mette alla guida dell’Ast solo per compiacere Raffaele Lombardo. Questo è un insulto, un favore politico trasformato in incarico pubblico”.

“Scene indegne, l’Ars è una barbarie”

Il j’accuse è durissimo: “In Sicilia ogni giorno vediamo scene indegne. L’Ars usa ancora il voto segreto, che serve solo a ricattare la giunta. È una barbarie che non esiste da nessun’altra parte d’Italia. E mentre i servizi pubblici cadono a pezzi, ogni anno si distribuiscono soldi a pioggia ai deputati, anche all’opposizione, per mantenere aree di interesse. Questo patto di spartizione è indecoroso”.

Calenda ha denunciato anche l’aumento dei costi di gestione: “La presidenza ha moltiplicato per quattro lo staff, l’Assemblea regionale costa più di qualunque altro parlamento in Italia, e intanto l’isola resta seconda per evasione fiscale e ultima per tutti gli indicatori economici”.

L’attacco diretto a Schifani e agli alleati

Il leader di Azione non risparmia il governatore: “Schifani pensa di essere Dio, o come Luigi XIV. Ma non è lui, né Tamajo, Sammartino o Galvagno, a poter gestire la Sicilia come un feudo. Sì, sei stato eletto, ma non puoi fare tutto”. E sulle defezioni di alcuni ex alleati, Calenda ha ironizzato: “Basta guardare i curricula dei consiglieri regionali: ognuno ha cambiato almeno 19 partiti. Sono feudatari che vanno dove ci sono opportunità. Ferrandelli, ad esempio, ha detto che per prendere voti ha bisogno di fare l’assessore. Ma che ragionamento è? È clientelismo puro”.

L’appello ai siciliani

La conclusione è un appello diretto: “Azione sta andando avanti in Sicilia tenendosi lontana da questo mondo. Non abbiamo mai fatto patti di spartizione e non li faremo. La scelta è complicata, ma necessaria. I siciliani hanno diritto ad avere la stessa qualità dei servizi che c’è nel resto d’Italia, e che oggi non hanno a causa di una classe politica di feudatari che si spartisce il potere”.

Un attacco frontale che suona come una dichiarazione di guerra politica: la Sicilia, secondo Calenda, non può più essere “il regno delle clientele”, ma ha bisogno che lo Stato intervenga per restituire dignità e servizi ai cittadini.