Movimento Agende Rosse in via d’Amelio: “Quello che Borsellino non poté riferire ai giudici”
Non si è mai veramente indagato sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Paolo Borsellino chiese di essere sentito dalla procura di Caltanissetta, ma non venne mai convocato da quei giudici. Le stragi del 1992 e del 1993 stragi politiche eseguite dalla mafia per interessi situati molto al di là di quelli mafiosi.
Mentre la trentaduesima fiaccolata in memoria di Paolo Borsellino e dei 5 agenti della sua scorta – Emanuela Loi, Claudio Traina, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina e Vincenzo Fabio Li Muli – parte da piazza Vittorio Veneto per raggiungere la via in cui vennero dilaniati da un’auto bomba il 19 luglio del 1992, insieme con il messaggio ‘Paolo Vive’, aleggia, anzi incombe, la metafora dell’‘elefante in una stanza’. Qualcosa, cioè, che anche uno sguardo molto miope non potrebbe mai evitare di vedere.
A enunciarla, ieri pomeriggio dal palco allestito in via d’Amelio dal Movimento delle Agende Rosse, il senatore-procuratore Roberto Scarpinato: “Sarebbe mai possibile non accorgersi di qualcosa di così tremendamente evidente, sotto forma di cataste di prove che dimostrano che le stragi del 1992 e del 1993 furono stragi politiche eseguite dalla mafia per interessi situati molto al di là di quelli mafiosi? La risposta è sì – sostiene -. Non si é finora voluto vedere che quei crimini immani conducono a apparati deviati dello Stato. Ma da oltre 30 anni la retorica ufficiale continua a ammannirci la storia che a organizzarli siano stati soltanto soggetti come Riina e Provenzano”. Si continua insomma a evitare di guardare a ben altro.
Il riferimento di Scarpinato, così come di Salvatore Borsellino, l’82enne fratello minore del magistrato morto da eroe, reiterato da anni, va alle decine di collaboratori che hanno testimoniato come dal settembre del 1991 al febbraio del 1992 i massimi capi di Cosa Nostra si ritrovavano a discutere su un progetto politico non certo da loro concepito, ma ideato all’esterno. Ossia dal ‘combinato’ P2 di Licio Gelli, massoneria deviata, destra eversiva e servizi segreti. Quel disegno, infine sposato dai capi mafia, puntava a abbattere il sistema di potere della Prima Repubblica, destabilizzando il paese con stragi da eseguire nei tempi e con modalità non concepite all’interno di ambienti mafiosi, ma stabilite da altre entità, in modo da aprire spazi da far occupare a un soggetto politico nuovo: “Questo lo hanno detto, e continuano a testimoniarlo, collaboratori di Cosa Nostra; e a confermarlo esponenti di ‘Ndrangheta e vari colletti bianchi”, ha sottolineato Scarpinato davanti al pubblico di Via d’Amelio, palesemente più ridotto rispetto a quello che interveniva negli anni passati per ricordare Paolo Borsellino. Il senatore-procuratore non ha mancato di rievocare tanti altri elementi investigativi ormai di pubblico dominio. Il fil rouge del terrore mafioso gestito da un ancora misterioso “deep state”, lo “Stato segreto”, suscita domande ormai tanto trite quanto eluse; che conducono a ipotesi pesanti: “sono certo che le mani che hanno trafugato l’agenda rossa di mio fratello sono di uomini appartenenti a pezzi deviati dello Stato che hanno voluto la morte di mio fratello – afferma Salvatore Borsellino -. È proprio questo il nodo dal quale bisognerebbe far ripartire le indagini e non adagiarsi sulle versioni dei dossier mafia-appalti, che riguardo alle stragi non hanno dimostrato nulla. Urgeva eliminare chi rappresentava un ostacolo insormontabile per realizzare un disegno criminoso, senz’altro con l’ausilio dell’organizzazione mafiosa e dell’eversione nera, per cambiare gli equilibri del nostro disgraziato paese, ancora segnato da questa, come da altre stragi di Stato”.
La speranza di verità e giustizia non deve, non può morire. Ma per realizzarla bisogna dare risposte finora mai affiorate.
Sono svariati gli elementi che testimoniano la presenza di soggetti esterni a cosa nostra nella organizzazione delle stragi palermitane del 1992, seguite l’anno dopo dagli attentati contro il patrimonio artistico nazionale di via dei Georgofili a Firenze, di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, a Roma, di via Palestro a Milano e, sempre nella capitale, di Via Fauro. Uno di questi la partecipazione di due donne alle stragi di Firenze e di Milano: “A quali apparati facevano capo – si chiede Scarpinato -, di quali interessi erano portatrici, considerato che mai la mafia ha ingaggiato donne nelle sue azioni?”. Altra questione, relativa a quanto concluso dalla commissione parlamentare antimafia della passata legislatura intorno all’esplosivo piazzato nei pressi della Galleria degli Uffizi: “si è accertato che qualcuno dopo aver collocato il furgoncino sul punto preciso in cui doveva esplodere, aggiunse un’altra quantità di esplosivo militare ai già collocati 120 chilogrammi di tritolo. Chi erano questi signori impegnati a aumentare la capacità distruttiva di quell’auto bomba?”.
Atti con utilizzatori finali. “Ovvero i partiti che hanno poi governato il paese e che oggi sono tornati a farlo – sottolinea Scarpinato -. Immagineremmo mai che queste forze politiche siano intenzionate a guardare l’elefante, anziché il topolino o la formica? Immagineremmo mai che un partito come Forza Italia fondato da Marcello Dell’Utri, uomo d’alta mafia, il partito che ha portato al potere Silvio Berlusconi, iscritto alla P2 e finanziatore accertato della mafia fino al 1994, voglia ripercorrere la storia delle stragi dal 92 e del 93? E lo farebbe Fratelli d’Italia, la forza politica più estremista della attuale destra italiana, acceduta all’area del potere dopo decenni di esclusione dall’arco costituzionale?”
Tornando sulla strage di via d’Amelio, “la vera chiave di quella accelerazione politica va ricercata nelle parole pronunciate da mio fratello Paolo alla biblioteca comunale nel suo ultimo discorso pubblico il 25 giugno del 1992, un mese dopo la strage di Capaci”, ha rimarcato Salvatore Borsellino, riferendosi ai fatti scoperti dal magistrato in quell’ultimo periodo della sua vita. Fatti che intendeva riferire all’autorità giudiziaria prima di comunicarli alla stampa.
“Paolo Borsellino chiese di essere sentito dalla procura di Caltanissetta, ma non venne mai convocato da quei giudici”. Dopo quelle parole alla biblioteca comunale, però, la sua audizione a non poteva più essere rimandata, cosicché l’audizione benne fissata alla settimana successiva alla strage che lo vide morire con i cinque agenti di scorta. “Purtroppo il conto alla rovescia per sua eliminazione era già partito – ha rievocato Borsellino. Al suo posto, a collaborare alle indagini verrà poi ritualmente chiamato Bruno Contrada, sul cui conto Paolo indagava sulla base delle dichiarazioni del pentito Gaspare Mutolo”.
Mai si è veramente indagato sulla sparizione dell’agenza rossa di Paolo Borsellino. “Non c’è stato mai un vero processo, tranne quello in cui, addirittura in fase di udienza preliminare, quindi senza dibattimento, si è arrivati all’assoluzione del capitano Arcangioli dall’accusa di avere sottratto l’agenda di mio fratello, a dispetto di fotografie che mentre via D’Amelio bruciava per la strage lo ritraggono con la borsa di mio fratello in mano. A chi quella borsa, che sicuramente conteneva l’agenda di Paolo, è stata consegnata?”.
In tutti questi anni – ha continuato Salvatore Borsellino – “abbiamo studiato a fondo ogni singolo fotogramma, ogni singola ripresa che ci è stato possibile ottenere, relativa ai momenti immediatamente successivi alla strage, abbiamo confrontato tante testimonianze costellate di ‘non ricordo’, abbiamo anche individuato i fotografi e gli operatori attivi in quei momenti richiedendo loro i rullini delle immagini: alcuni ci sono stati dati, altri, soprattutto quelli in possesso di grandi organi d’informazione ci sono stati inspiegabilmente negati”.
A rappresentare una possibile svolta, un barlume di verità, è stato il processo Borsellino quater: “avevo davvero cominciato a sperare ma si è trattato solo di un miraggio di giustizia, annullato da una serie di sentenze contraddittorie, fino all’assoluzione degli ufficiali del Ros in Cassazione per non avere commesso il fatto. Ma un fatto c’è stato. Ed è stato la strage di mio fratello Paolo e di 5 giovani servitori dello Stato”.
E dopo di loro, altri attentati, col sacrificio di vittime innocenti.
“In questo scampolo di vita che mi resta – conclude Salvatore Borsellino -, così procedendo sono quasi sicuro di non vedere realizzato il desiderio di vedere affermata la verità e la giustizia. Quella che in questo Paese in pochi vogliono davvero”.