Mimmo Russo e quel sogno del centro commerciale in periferia
Voleva “sistemarsi” per tutta la vita con il progetto di un centro commerciale nella periferia nord di Palermo, zona Roccella, accanto al Forum. Mimmo Russo stava facendo di tutto per agevolare un gruppo imprenditoriale che voleva costruire un nuovo centro nel capoluogo siciliano. “Padre politico” del progetto sarebbe stato proprio l’ex consigliere arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio politico-mafioso, estorsione aggravata e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Si sarebbe attivato per sbloccare la variante del piano regolatore affinché venisse cambiata la destinazione d’uso dei terreni su cui doveva sorgere la struttura: da verde agricolo a uso commerciale. Mimmo Russo, che era anche diventato presidente della Commissione Urbanistica, voleva appunto cambiare le carte e snellire la burocrazia per arrivare poi alla costruzione del centro. Ci riuscì ma solo parzialmente, perché a fare saltare i piani intervenne una legge regionale che cambiava l’iter da seguire. Non bastava più la sola variazione del piano regolatore. In ogni caso il progetto del centro commerciale, come ha confermato il dirigente comunale Graziella Pitrolo, fu bocciato perché ritenuto carente in diversi punti. Mimmo Russo è l’icona del rapporto malsano tra mafia e politica. Totalmente legato a Cosa nostra, con cui lavorava su ogni fronte: dalla raccolta dei voti alle assunzioni dei figli dei carcerati. Ma Russo andava oltre i suoi confini e stando a quello che hanno raccontato alcuni collaboratori di giustizia, rischiò anche di essere ammazzato. Come nel 2008 quando il politico decise di sbattere la porta in faccia ai mafiosi dello Zen, convinto che non lo avessero aiutato a sufficienza nel recuperare voti per le elezioni. Rischiò grosso: “Mimmo Russo è un morto che cammina, io l’ho salvato e lui lo sa… ci doveva morire a casa mia… dentro il pozzo lo dovevamo buttare perché lui mi rovinò pure a me… io l’ho salvato… ho promesso 20.000 posti di lavoro… lo vogliono ammazzare”, raccontò il pentito Salvatore Giordano. Russo in pratica aveva promesso posti di lavoro a tutti, ma ovviamente poi non riuscì ad ottemperare alle sue promesse e si tirò indietro. E poi i voti del Borgo Vecchio, la sua casa. Tutti voti dalla radice mafiosa. Russo ricambiava con soldi, buoni pasto, buoni benzina e assunzioni anche nel suo caf. La fama del politico arrivò anche in provincia. Filippo Bisconti capomafia pentito di Belmonte Mezzagno nel 2019 disse che “praticamente da ogni zona arrivavano con i buoni di benzina, mi pare che l’ho visto nei locali di Enzo Tinnirello e si sono appartati nell’ufficio… consegnavano del denaro prendendo degli impegni politici ben precisi così da racimolare più voti possibili”.