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Depistaggio via D’Amelio “Rapporti inquietanti tra Sisde e Procura”

di Redazione -





di CLAUDIA MARI
“Il primo episodio singolare, ma anche inquietante”, sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, “riguarda la collaborazione tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona di Bruno Contrada”, rapporto che “viene avviato all’indomani, su iniziativa dell’allora Procuratore Giovanni Tinebra”. Ha avuto inizio con queste parole del Pm Maurizio Bonaccorso la requisitoria della Procura generale di Caltanissetta nel processo d’appello sul depistaggio sulle indagini sulla strage del 19 luglio 1992. Depistaggi che sarebbe iniziato nelle ore immediatamente successive alla strage. “C’è un incontro che avviene il 20 luglio – ha continuato Bonaccorso – all’indomani della strage, in cui c’erano Bruno Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra”. Le conferme sull’incontro e sulla collaborazione sono state trovate negli appunti nell’agenda sequestrata a Bruno Contrada. “La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali” ha spiegato il Pm.
Un passo successivo della requisitoria, si ha quando il Pm ricorda quanto riferito 15 dicembre 2021 al processo Borsellino quater dall’ex Pm Antonio Ingroia. “Riferisce che il giorno dopo la strage di via D’Amelio, il 20 luglio 1992, incontrò l’allora Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra. Durante la veglia i colleghi Ignazio De Francisci e Teresa Principato raccontarono a Ingroia delle confidenze che Borsellino gli aveva fatto e ciò che aveva sentito pochi giorni prima il collaboratore Gaspare Mutolo e lui aveva fatto il nome di due soggetti collusi: Domenico Signorino (Pm di Palermo che si suicidò poco dopo) e Bruno Contrada”, l’ex funzionario del Sisde che in quel periodo guidava i Servizi a Palermo. “Questa circostanza viene detta da Ingroia a Tinebra il 20 luglio 1992 – dice il pm Bonaccorso – E nonostante il 20 luglio ci sia questa informazione allarmata, Tinebra prosegue questa collaborazione tra la sua Procura e il Sisde”. Quindi, il rapporto tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde, subito dopo la strage di Via D’Amelio, “era vietato dalla legge” e diventa “inquietante alla luce delle dichiarazioni che ha fatto Antonio Ingroia”, ma soprattutto “non produce nessun utile elemento per l’accertamento della verità né è una tessera del mosaico delle stragi”.
Al banco degli imputati a processo ora ci sono tre poliziotti, ex appartenenti al gruppo di indagine Falcone Borsellino: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra, per aver spinto Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, a dichiarare il falso sulla strage, autoaccusandosi e indicando come colpevoli altre sette persone. In primo grado la caduta dell’aggravante mafiosa ha fatto scattare la prescrizione per i primi due mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Bruno Contrada venne arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa il 24 dicembre del 1992. In primo grado fu condannato a dieci anni, ma la sentenza fu ribaltata in appello e il funzionario venne assolto. Secondo quando spiegato da Bonaccorso, “La Squadra mobile di Palermo quando si rapportò a Salvatore Candura ha la certezza che questo soggetto non c’entrava nulla con il furto della Fiat 126 usata per la strage di via D’Amelio”. “Dobbiamo valutare le dichiarazioni di Candura tenendo conto delle risultanze investigative” dice ancora Bonaccorso. E si chiede: “Perché un uomo arrestato per violenza sessuale poi si autoaccusa di avere avuto un ruolo nella strage?”. Candura, dopo l’arresto per violenza sessuale, aveva mentito raccontando di essere stato lui a rubare la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo ed utilizzata per compiere la strage di via D’Amelio. Una delle bugie sulle quali era stato costruito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, come lo ha definito la Corte d’assise di Caltanissetta, impedendo l’accertamento pieno della verità. Salvatore Candura, 62 anni, confessando il furto mai commesso aveva patteggiato la pena nel 1994, era stato poi inevitabilmente assolto nel 2017 dopo la sentenza di revisione del processo sulla strage.