Palermo, bufera sull’ex magistrato Natoli: insulti ai Borsellino
Parole che pesano come pietre e che riaprono una ferita mai rimarginata. Durante la trasmissione televisiva “Lo stato delle cose”, Massimo Giletti ha reso note alcune intercettazioni ambientali registrate a casa di Gioacchino Natoli, ex presidente della Corte d’appello di Palermo ed ex dirigente del Dis, oggi indagato dalla procura di Caltanissetta per favoreggiamento aggravato e sospettato di avere depistato l’inchiesta “mafia e appalti”. Tra i contenuti emersi spiccano anche gli insulti ai Borsellino, che rendono ancora più grave e doloroso il quadro delineato dalle indagini.
Nelle registrazioni, l’ex magistrato si lascia andare a giudizi sprezzanti nei confronti di Paolo Borsellino, assassinato da Cosa nostra il 19 luglio 1992, e della sua famiglia. Avrebbe detto che il giudice “sbeffeggiava la moglie davanti ai colleghi definendola deficiente”, e avrebbe usato espressioni pesanti anche contro i figli e il genero, l’avvocato Fabio Trizzino, oggi legale di parte civile nei processi sulla strage di via D’Amelio.
La reazione della famiglia Borsellino
Immediata la risposta di Manfredi Borsellino, figlio del magistrato ucciso e oggi dirigente della polizia: “Proviamo vergogna e imbarazzo – ha dichiarato – tanta vergogna e tanto imbarazzo per persone che fatichiamo a considerare colleghi di nostro padre. I nostri grandissimi genitori ci avevano preparato anche a questo fuoco amico, ma le offese gratuite rivolte a nostra madre ci lasciano senza parole”.
Le sue parole restituiscono tutta l’amarezza di una famiglia che da oltre trent’anni chiede verità e giustizia, non solo contro la mafia, ma anche contro i depistaggi che hanno avvelenato la ricerca della verità.
Un copione che si ripete
Non è la prima volta che esponenti delle istituzioni feriscono la memoria dei Borsellino. Dieci anni fa, un’altra vicenda aveva scosso l’opinione pubblica. L’ex presidente delle misure di prevenzione, Silvana Saguto, in un’intercettazione rivolse frasi offensive ai figli di Paolo Borsellino, durante l’inchiesta sulla gestione illecita dei beni confiscati.
Oggi, la storia si ripete con un altro magistrato che, per anni, ha ricoperto ruoli di primo piano nei palazzi di giustizia e nei servizi segreti.
Un processo che guarda allo Stato
La vicenda di Gioacchino Natoli si inserisce in un contesto delicatissimo: l’inchiesta “mafia e appalti” e il sospetto che non solo i boss abbiano avuto interesse a insabbiare la verità, ma anche uomini dello Stato. Sul banco degli imputati per i depistaggi ci sono infatti poliziotti e funzionari che, invece di portare chiarezza, avrebbero contribuito a nasconderla.
Le parole intercettate non sono dunque solo un’offesa personale: rischiano di apparire come l’ennesima crepa nella credibilità di una parte della magistratura.
La memoria e la ferita aperta
Per la famiglia Borsellino, queste nuove rivelazioni rappresentano un colpo durissimo: “Siamo senza parole”, ha ribadito Manfredi. Il ricordo del giudice Paolo e dei cinque agenti caduti con lui non è soltanto un patrimonio della famiglia, ma dell’intera comunità siciliana e italiana.
E ogni volta che la memoria viene infangata, il Paese intero sembra arretrare di un passo nel cammino verso quella verità che ancora, a distanza di oltre trent’anni, continua a mancare.