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Violenza sessuale su collega medico: ex primario sospeso a Catania

di Andrea Scarso -





Un caso di violenza sessuale su collega medico scuote la sanità catanese. Il gip ha sospeso dall’incarico il dottor Giuseppe Reina, 63 anni, già primario in un reparto dell’ospedale di Paternò e attualmente in servizio nella sanità pubblica di Catania, dopo aver riconosciuto gravi indizi in merito alle accuse a suo carico.

La sospensione dell’ex primario accusato di violenza sessuale

Secondo l’inchiesta coordinata dalla Procura etnea, Reina avrebbe sfruttato la sua posizione gerarchica per costringere una collega chirurgo a subire atti sessuali. I presunti episodi si sono verificati tra dicembre 2018 e settembre 2024, e i sistemi di videosorveglianza interni all’ospedale li hanno documentati.

L’indagine è stata condotta dalla squadra mobile della Questura di Catania e dalla sezione di polizia giudiziaria della Procura, specializzata nei reati contro le fasce deboli. Gli investigatori ritengono che il medico abbia agito facendo leva sul timore, da parte delle vittime, di subire conseguenze negative sul piano professionale.

Le misure adottate dal gip

La Procura aveva richiesto una misura cautelare in carcere, considerando la gravità delle accuse e la molteplicità degli episodi denunciati. Il gip ha però rigettato questa ipotesi, disponendo invece la sospensione dalle funzioni pubbliche per un periodo di dodici mesi. La misura interdittiva riguarda tutte le strutture ospedaliere e sanitarie pubbliche o a partecipazione pubblica.

Il giudice ha riconosciuto la sussistenza di gravi indizi solo in uno dei casi contestati, quello relativo alla collega chirurgo. L’accusa sostiene che l’ex primario avrebbe compiuto avances e atti a sfondo sessuale anche durante l’orario di lavoro e, in alcuni casi, persino in presenza di pazienti.

La posizione della Procura

Nonostante la decisione del gip, la Procura ha dichiarato di riservarsi il diritto di impugnare il rigetto della custodia cautelare in carcere. Gli inquirenti, infatti, ritengono che la dinamica degli episodi e la posizione di autorità ricoperta dall’indagato abbiano creato un contesto di soggezione psicologica che avrebbe reso difficile per le vittime opporsi.

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