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Addio tornelli in spiaggia: il mare non è un parco a tema

Dal Codacons un promemoria a gestori e istituzioni: la battigia non è proprietà privata

di Andrea Fiore -





Chi va al mare immagina un percorso semplice: asciugamano sotto il braccio, cappello in testa e via verso la battigia. Invece, troppo spesso, lo scenario ricorda quello di un parco divertimenti: varchi d’ingresso, tornelli, cartelli con regole assurde e, in alcuni casi, perfino guardiani inflessibili. Peccato che qui non ci siano montagne russe, ma solo onde e sabbia.

La Sicilia ha deciso di dire basta, imponendo la rimozione delle barriere che impediscono l’accesso libero al mare. Una scelta salutata positivamente dal Codacons, che però ricorda: l’Italia non finisce a Messina. La legge nazionale è chiarissima da tempo: il mare e la spiaggia sono beni pubblici, accessibili a tutti. Applicarla solo in alcune regioni è come aprire metà porta: un passo avanti, ma non abbastanza per far entrare davvero la libertà.

Cittadini, turisti e gestori: chi vede cosa

Dal punto di vista dei cittadini, il problema è lampante: camminare fino alla battigia dovrebbe essere naturale quanto andare a prendere il pane. Nessuno immaginerebbe di dover mostrare un biglietto all’ingresso di un fiume o di una montagna, eppure succede con il mare.

I turisti stranieri, spesso ignari delle regole italiane, rimangono spiazzati. Vengono da Paesi dove l’accesso alle coste è libero e gratuito, e si trovano davanti a tornelli degni di un aeroporto low-cost. Una cartolina poco invitante per chi sogna l’Italia come terra di sole e ospitalità.

E i gestori? Alcuni applicano le norme con buon senso, permettendo il passaggio senza problemi. Altri, invece, si trasformano in doganieri improvvisati, recintando porzioni di spiaggia come se fossero proprietà privata. Ma il mare, per fortuna, non conosce confini: arriva ovunque, travolge ostacoli e ricorda a tutti che nessuna concessione è eterna.

Il governo come arbitro, i cittadini come guardiani

Il Codacons chiede che le disposizioni siciliane diventino regola nazionale: via tornelli, via staccionate, via barriere. Chi si ostina a tenerle rischia grosso: multe salate e perfino la revoca della concessione. Perché non basta piantare ombrelloni e sdraio per trasformare un bene comune in un affare privato.

In questo scenario, anche i cittadini hanno un ruolo da protagonisti: diventare “bagnini della legalità”, segnalando gli stabilimenti che ancora ostacolano il diritto al mare. È una forma di partecipazione civile che non richiede fischietti né torrette, solo attenzione e voglia di difendere ciò che appartiene a tutti.

Come sottolinea il presidente Carlo Rienzi: «Ogni barriera che limita l’accesso al mare è una violazione dei diritti dei cittadini. Non tollereremo abusi: il mare non è un affare privato, ma patrimonio comune». Parole che suonano come un avviso, ma anche come un invito: difendere la spiaggia è difendere un pezzo di libertà.

Un bene che non ammette serrature

In definitiva, la spiaggia non è un locale VIP con il buttafuori all’ingresso. È il salotto naturale più grande d’Italia, aperto ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. L’unico biglietto richiesto è un asciugamano, un po’ di crema solare e la capacità di rispettare l’ambiente.

Il mare unisce, non divide. E chi pensa di trasformarlo in un giardino recintato, dovrebbe ricordare che le onde non riconoscono tornelli: li scavalcano con un sorriso d’acqua.