Il piano inclinato di Roberto Alajmo: una “insospettabile” storia d’immigrazione
Ci si poteva aspettare un nuovo racconto dell’intrigante e divertente serie dedicata all’investigatore-metronotte Giovà, e invece “Il piano inclinato”, il nuovo romanzo di Roberto Alajmo, tratta un tema attuale da alcuni decenni: l’immigrazione di masse di disperati dal continente africano.
Una sfida onerosa, non solo per il dramma indicibile in sé stesso, ma anche perché su questo argomento si è già detto e scritto tutto e persino tutto e il contrario di tutto.
Alajmo vince la sfida perché riesce ad aggiungere elementi importanti sul piano comunicativo, politico e letterario. A partire dalla tecnica narrativa che è nelle corde di uno scrittore e drammaturgo con decenni di esperienza quale giornalista della Rai. Alajmo infatti trasla il giornalismo nel romanzo con una tecnica impeccabile, per giunta mantenendo la sua cifra di narratore tanto critico quanto sottilmente ed elegantemente ironico.
Il piano inclinato (Sellerio, 2024) ha una “voce narrante non onnisciente”. Il personaggio principale è raccontato in terza persona ma quasi esclusivamente “in soggettiva”. Ossia raccontando quasi esclusivamente ciò che il personaggio stesso può sapere, vedere, sentire, subire, immaginare, attraversare. Ciò consente di restituire al lettore, per buona parte del testo, un racconto fattuale e dunque eminentemente giornalistico, sia pure immaginato e sviluppato anche sul piano psicologico. Produce nel lettore la sensazione voluta: leggere ciò che è innanzitutto una serie di fatti entrando pure nell’ambito personale ed emotivo del protagonista inteso come esempio di fatti più generali.
In Il piano inclinato di Roberto Alajmo, il protagonista – “chiamiamolo Ousmane. O meglio ancora Ousma…” – è un qualsiasi ragazzo maliano prossimo alla maggiore età che tenta di emigrare per ottenere un futuro migliore. Partendo da motivazioni evidentemente irrinunciabili, Ousma conosce o intuisce per sommi capi i rischi e i pericoli che dovrà affrontare quale migrante clandestino che vuole attraversare il deserto e la Libia per approdare in Europa. Ma non può esattamente immaginare quanto sarà realmente duro il viaggio. Lo scoprirà insieme al lettore, sempre dal punto di vista di Ousma. Che è lo stesso punto di vista capace di fornirgli la forza per sopravvivere.
Per quanto atroce e orribile sia l’esperienza di viaggio di Ousma, Alajmo racconta un caso di viaggio “mediamente tragico”, se così si può dire. Glissando, in effetti, su gran parte degli orrori inflitti da miliziani Wagner-e-soci ai poveri cristi che tentano di passare dall’Africa subsahariana all’Europa, anche se non lesina riferimenti e descrizioni a esperienze ed epiloghi molto peggiori di quelli che in definitiva patisce Ousma. L’autore racconta aspetti fattuali sui quali si chiudono troppo spesso gli occhi. Il racconto è dunque estremamente tragico persino in un caso che non porta ad ulteriori orrori sul personaggio principale durante un viaggio semplicemente orribile. Inoltre, Alajmo sceglie di raccontare la storia di un ragazzo anziché di una ragazza. Notoriamente le storie delle ragazze e delle donne che tentano la traversata da clandestini passando dalla Libia sono più atroci di quelle dei compagni di sventura di sesso maschile, con orrori persino più mostruosi e indicibili. Alajmo fa comunque intuire le maggiori atrocità commesse sulle donne in molti passaggi, e non esclusivamente attraverso la rassegnata mitezza di Ousma.
Ma ciò che stupirà di più il lettore sarà il rapporto di Ousma con la teorica multicuturalità e accoglienza della città di Palermo. Che, appunto, potrebbe essere solo teorica e non fattuale.
Nel raccontare da giornalista i fatti attraverso una storia rappresentativa della realtà dei fatti, Alajmo aggiunge da narratore e drammaturgo molti elementi di critica al “Nuovo Mondo” della nostra società. E tra le righe è evidente la critica a certa politica e “informazione” nel gestire l’immigrazione. In particolare, il romanzo pone l’accento sui comportamenti di media e parti politiche che istigano al consolidamento di preconcetti di natura razzista. Com’è nel suo stile, Alajmo critica senza sconti tutte le parti politiche del nostro Paese. A partire da come è amministrata, strumentalizzata e “somministrata” l’immigrazione.
Come in altri eccellenti romanzi di Alajmo, ogni “sliding-door”, o svolta narrativa, prende inevitabilmente una delle tante possibili pieghe che il cinico destino impone e dispone, sia per il più criminale dei personaggi che per il più mite e rassegnato. In uno di questi snodi il romanzo cambia decisamente di passo, abbandonando il regime di storia “qualsiasi” e indirizzandosi verso una storia “unica”, o per lo meno “esemplare” (oltre che esemplificativa) e a forte componente drammaturgica. Ciò conduce a una lettura ancora più intrigante e densa di ulteriori ipotesi e suggestioni, che si infittiscono in un ritmo sempre più incalzante di vero e proprio thriller.
Utilizzabile praticamente così com’è per una eventuale rappresentazione teatrale o cinematografica, Il piano inclinato riporta l’autore sul racconto drammatico e drammaturgico dopo il periodo di letteratura spassosa, o per lo meno grottesca, che contraddistingueva le ultime tre esperienze del metronotte-investigatore palermitano Giovà. Con questo romanzo Roberto Alajmo ritrova certamente un afflato più “noir” con uno denso background di contenuti sociali e politici.